Identità Golose Milano, il congresso d’alta cucina appena conclusosi con gran successo, è un caleidoscopio di idee, un frullatore d’energia applicata alla tavola. La formula consente da anni di trovare nuove strade per dare diverse fogge, migliori, al già noto.
Chi scrive queste note cucina poco e male. Ma ha imparato come cuocere meglio gli spaghetti durante Identità Milano 2010, quando lo chef Elio Sironi spiegò la “cottura passiva”: solo due minuti in acqua bollente (ossia da quando ha ripreso a bollire dopo che si sono aggiunti sale e pasta) e poi il restante tempo – quindi per un formato che deve cuocere 11 minuti, gli altri 9, per capirci - a fornello spento, la pentola con il coperchio. Un modo per non disperdere nell’acqua amido e glutine, ossia sapori e nutrimenti preziosi, e per ottenere un prodotto perfettamente al dente.
Insomma, tecniche d’alta scuola ma alla portata di tutti, che promettono di diventare nostra quotidianità applicate al più tradizionale dei piatti d’Italia. Identità di Pasta, la sezione del congresso dedicata a questo straordinario mondo, fornisce da tempo spunti di tal genere. Non ha deluso neanche quest’anno. Per Paolo Marchi uno dei momenti più “alti” è stata la lezione del “mago” Davide Scabin, che a rinnovare paccheri, fusilli & C. sta dedicando parte della sua genialità: sua l’idea di cuocere la pasta nella pentola a pressione. Uovo di Colombo, diranno quelli che però prima non ci avevano mai pensato. Scabin è entusiasta, perché così si raggiungono i 100° facilmente, scatenando la reazione di Maillard, ma poi non si esaspera il prodotto, poiché vengono mantenuti più o meno i 120° costanti: «Si generano reazioni diverse nella scissione degli zuccheri. E' interessante, svilupperemo molto questo sistema», che ha altri due vantaggi. Primo, è assai più veloce; secondo, spreca meno acqua, viene utilizzato solo il 18% di quella che normalmente ci serve per bollire la pasta, lo chef calcola un risparmio di 17 miliardi di litri in Italia, in un anno.
Eureka! Marchi in brodo di giuggiole («Così Scabin cuoce senza olio e burro, solo un po’ di guanciale per una fantastica amatriciana pronta in 11 minuti») va d’accordo con Albert Sapere, l’ideatore de Le Strade della Mozzarella, che così scrive su Facebook: «Prima di parlare bisognerebbe assaggiare e poi giudicare. L'amatriciana fatta da Davide Scabin nella pentola a pressione era molto buona, pasta al dente, percettibile in tutti i suoi sapori, con un gusto carnale ma elegante allo stesso tempo. Preferisco un grande artigiano che ripensa la tradizione, a uno chef mediocre che magari seguirà anche la tradizione ma poi mi fa mangiare un piatto di pasta cattivo. Questo è quanto #sapevatelo».
Ma abbiamo incrociato anche chef di tutt’altra pasta. Marianna Vitale, de Sud di Quarto (Na), la fa arrosto: ossia prima cotta normale, poi spadellata con aglio olio e acqua di cottura, infine alternativamente scottata in un’altra padella per dare un senso di arrostito che si percepisce bene nei suoi buonissimi “Spaghetti freddi con sugo di pomodoro caldo e maionese agrodolce”. Freddi? Già perché per la cuoca campana la temperatura di servizio standard, 55°, è troppo alta, mentre abbassandola si percepiscono note gustative prima sovrastate dal calore, «il freddo esalta la sapidità, l’amaro, l’acido, l’astringenza». Sarà per questo che nella sua impepata di cozze rivisitata a 45° si percepiscono così bene il succo di limone, il pepe, la dolcezza della crema di peperone, la sapidità di quella di ricci di mare? Squisito o, per dirla con lei, «succulento».
La pasta diventa dolce per i fratelli Christian e Manuel Costardi (“Noodles al brodo di cioccolato”); bruciata per Massimo Bottura, che scotta la farina con cui impasta dei ravioli che avranno quindi sentori di camino, poi ripieni di anguilla e bagnati di brodo di alzavola in un piatto rustico-contemporaneo; sottolio per Scabin, di nuovo, che la chiude in vasetto di vetro pronta da servire, «rimane al dente per giorni»; multicolore per Viviana Varese di Alice, a Eataly Milano, che frulla sei verdure “a tinte forti” (spinacio, rapa rossa, rapa bianca, carota gialla di Polignano, cavolo viola e peperone) e ne fa gnocchi addensando le varie creme con radice giapponese kuzu, poi condisce il tutto con acqua di pepe e acqua di cacio, per una cacio e pepe così diversa da meritare il nome “Follia”. E Andrea Berton la pasta la congela a -30° con l’abbattitore, dopo averla cotta al 40%, così è sempre pronta e al dente.
Infine ci sono quelli che la pasta la… impastano. Il solito Scabin stracuoce, frulla, ne ricava una sorta di "pongo di pasta", una massa che può lavorare a piacere per farne soufflé, sofficini, tacos o splendidi bomboloni che non assorbono l'olio. Enrico Croatti prende la Pàca Felicetti – un pacchero più piccolo e gentile – lo cuoce, lo infarina con una farina ottenuta tostando e poi frullando la Pàca stessa e ripassa il tutto nella macchina per la pasta, per ricavarne un velo più sottile e dalle note, appunto, tostate. Il re Bottura fa una cosa simile ne "Lo spaghetto che vuole diventare una lasagna": lo spaghetto viene cotto, frullato, unito in impasti diversi con pomodoro, spinaci/bietole e parmigiano. Poi unisce ed essica ottenendone un sottilissimo velo tricolore, vera "bandiera italiana " che passa poi in un grill speciale a conferire «qui sentori un po' bruciati della crosta della lasagna, la parte più buona». L'ex spaghetto sventola sul piatto avendo alla base un ragù di coda, guancia e lingua di vitello e una crema leggera di parmigiano.
Ancora convinti che la pasta sia necessariamente tradizione?
Carlo Passera